Se ci si facesse condizionare troppo da questa prima vista, si rimarrebbe sconvolti e credo che molte persone sarebbero tentate di ritornare subito a casa.
Ieri ho ripercorso quella strada per andare nel paese di Keflavik e l'ho osservata con più calma ed attenzione.
Appena fuori dall'agglomerato urbano di Reykjavik ci si trova come su un altro pianeta:
l'atmosfera è da film di fantascienza ambientato nel futuro ai confini di qualche gelida galassia lontana.
La strada nera che si snoda su un terreno in prevalenza pianeggiante senza la minima forma di vegetazione, attraversa distese di rocce laviche con qualche macchia di muschio qua e la.
Si oltrepassa un fiume e poi di nuovo il nulla, solo silenzio, deserto e cielo cupo sopra la testa.
Ogni tanto si incontrano dei cantieri stradali con dei grossi bulldozer e scavatori, camion minacciosi e massicci fermi su questa terra nerissima di lava. Sembra una fotografia di colonie umane su Marte, con questi mezzi resistenti che stanno costruendo avamposti di civiltà.
Sembra l'antartide senza ghiaccio, la luna o Marte. Un luogo insomma, ai confini della terra.
Ciò che più mi impressiona sono gli insediamenti dell'uomo. Non si possono chiamare paesi perchè del calore e dell'accoglienza di un paese non hanno assolutamente niente.
In mezzo a questo deserto alieno spuntano di tanto in tanto gruppi di case come basi lunari.
Sono squadrate, costruite sulla roccia viva. Hanno il corpo in lamiera o legno e il tetto colorato. Fuori hanno parcheggiato un enorme fuoristrada o una roulotte.
Immagino quegli abitanti chiusi nei loro bunker in mezzo al nulla durante l'inverno senza luce e mi viene l'ansia!
Poco prima di arrivare a Keflavik (un insediamento un po' più grande con anche gli enormi supermercati da entroterra americano) si passa per l'insediamento di Vogar: una distesa di case basse tutte uguali, con le strade che le collegano e nient'altro.
Sembra tutto incredibile e surreale.
Keflavik è un villaggio costruito in gran parte dagli americani che durante la guerra fredda crearono una base mlitare in Islanda e in cambio costruirono per gli islandesi il piccolo aeroporto internazionale che sorge ai confini del paese.
Ecco, proprio il tocco militare completa questo quadro di isolamento e alienazione.
E' proprio in questa zona che si incontrano la placca americana con quella euroasiatica.
Reykjavik e Keflavik di fatto sono già sulla parte americana e sembra incredibile ma lo si percepisce in molti aspetti.
Alcuni dettagli poi arricchiscono lo scenario: I grandissimi fuoristrada dalle ruote chiodate (per niente europei) che girano per queste strade, i capannoni in lamiera verde militare, le grosse industrie di lavorazione del pesce, i cantieri navali e i grandi tralicci che sorreggono i cavi e che si estendono per chilometri a perdita d'occhio e, in lontananza, una montagna dalla cui base si alza il fumo di qualche cratere.
Se vi capita di passare per l'Islanda tenete duro e arrivate fino a Reykjavik. Questa strada vi vuole solo intimorire.
Una volta arrivati in città il paesaggio sarà molto diverso!
Siccome le parole non bastano, ecco una dose XXL di foto per descrivere questo paesaggio
IL CAMPO COPERTO DI KEFLAVIK
L'INSEDIAMENTO DI VOGAR
L'industria di lavorazione del pesce









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