Questo é l'ultimo "sforzo" anche se non si puó chiamare tale un'esperienza al 100% positiva, piena e gratificante come questa.
E allora lo chiameró l'ultimo atto. Ultimo atto di un viaggio sorprendente, straordinario, incredibile che mi ha dato tanto, forse troppo.
Ho attraversato senza accorgermente 3 stagioni, ho assaporato gli ultimi giorni di inverno islandese, rigidi e ventosi come solo l'Islanda sa essere, la primavera fresca e solare e l'estate: un'esplosione di vita e colori con la Notte che esce di scena lasciando spazio al Giorno Infinito.
Mentre queste stagioni scorrevano veloci la Juventus vinceva lo scudetto e io festeggiavo davanti allo schermo del mio pc! Che sofferenza non poter essere allo stadio con mio zio e il mio amico Fabio.. ma va be' ogni cosa comporta delle scelte e se il caso qualche piccolo sacrificio....e poi fossero questi i sacrifici!
Ho incontrato tante persone, tante persone con cui posso dire sinceramente di essere diventato amico e che mi mancheranno il giorno in cui partiró.
Ho conosciuto due amici italiani, Luigi e Gianluca. Li ho incontrati per caso e subito abbiamo legato. É un peccato averli trovati solo adesso che sto per partire ma si sa, succede sempre cosí, come da piccolo, quando finalmente trovavo un gioco che mi coinvolgeva a casa di un compagno, arrivava la mamma a prendermi e dovevo tornare a casa.
Ho fatto un viaggio incredibile per tornare 3 giorni in Italia.
Ho scoperto un nuovo paese vivendolo, alzandomi la mattina per andare a lavorare, facendo la spesa, aprendo un conto in banca, ricevendo lo stipendio, chiacchierando con i suoi abitanti della quotidianitá e dei fatti interni.
Ho imparato a badare a me stesso in ogni cosa.
Ho viaggiato.
Ho ospitato amici dall'Italia condividendo con loro un pezzo di questa vita.
Ogni cosa ha una fine ed é giusto che sia cosí.
Mi dispiace sicuramente lasciare questa terra ma riconosco allo stesso tempo che si é trattata di un'esperienza limitata da vivere piú intensamente possibile.
Nuove storie mi aspettano nel futuro.
Devo tornare per rivedere chi mi vuole bene
Devo tornare per ritrovare ció che ho lasciato
Devo tornare per concludere quello che ho iniziato
Devo tornare per andare in vacanza
Devo tornare per far si che questo resti per sempre un bellissimo ricordo.
Devo tornare per iniziare qualcosa di nuovo
Per concludere in bellezza questo Viaggio ho riempito quasi ogni giorno che mi separa dalla partenza con qualcosa di interessante da vivere.
Probabilmente passerá molto tempo prima che (chissá un giorno) ritorneró da queste parti e allora senza badare troppo alla ragione ho prenotato un volo per Isafjordur, la "capitale" dei fiordi a nord ovest, luogo lontano ed irraggiungibile dove molti islandesi non sono mai andati per paura di atterrare in
"QUELL'AEROPORTO"
E poi Vestmann Islands, l'arcipelago vulcanico a sud dell'Islanda dove finalmente vedró i Puffins, una partita di Europa League tra una squadra locale ed una ancora meno blasonata del Liechtenstein (giá, tra tutte le cose proprio questa! peró come dicevo tempo fa, il calcio dei perdenti mi ha sempre fatto simpatia e poi questo é un match internazionale! :) ) e per finire un concerto al parco di Reykjavik del mio gruppo islandese preferito: of Monster and Men.
In mezzo a questi appuntamenti entreranno di diritto cene di addio, ultimi bagni in piscina, semifinale dell'Italia, e chissá, magari anche la finale!
Sono stato tanto fortunato. Grazie Islanda, iniziamo insieme il Gran Finale.
Insieme al calcio, la musica, la lettura e la geografia, la cucina mi attrae da sempre.
Mi piace mangiare, mi piace sperimentare, mi piace provare.
Mi piace il rito del pasto, il momento della riunione, le conversazioni e il momento in cui, sazi, ci si alza da tavola e la palpebra diventa pesante.
Evidentemente in un'esperienza all'estero come questa, gli spunti per scoprire nuovi sapori non mancano anche se il prezzo da pagare è la perdita della maggior parte degli elementi che compongono il piacere del mangiare di cui parlavo prima.
Niente più conversazioni, niente più tavola da apparecchiare, niente "ritrovo".
Allo stesso tempo non sono mai stato uno studente fuori sede e ho sempre guardato al "vivere fuori casa" come una condizione di precarietà piuttosto che di libertà.
Ho sempre avuto l'immagine di studenti trascurati, camere da letto che accumulano vestiti ammucchiati, disordine, cartoni della pizza vuoti, bicchieri a metà e lavandino pieno.
Dal momento in cui mi sono trovato da quella parte mi sono ripromesso che non sarei mai stato così.
Mi sono imposto di mantenere sempre la pulizia intorno a me di curare l'alimentazione come ho sempre fatto e di non farmi mancare niente, a cominciare dalla tavola apparecchiata... (rito che avrei accantonato poche settimane dopo il mio arrivo)
I primi tempi infatti, a cena apparecchiavo la tavola nel soggiorno per poi, a poco a poco, preferire la mensolina della cucina e accantonare la buone maniere.
Nonostante l'imbarbarimento dei costumi, ho continuato a cucinare e sperimentare come ho sempre fatto:
Pasta, carne, pesce e addirittura pane impastato e cotto da me!
L'altra sera, colto da una fame sopra la media, ho improvvisato una ricetta cercando di esaltare il gusto ai massimi livelli.
Ho preparato una pasta di notevole bontá, talmente buona che ho deciso di condividerne la preziosa ricetta! :)
L'ho battezzata: FARFALLE ALLA RÍMMBRÖIT.
(Rimmbröit é la pronuncia islandese del nome della via in cui abito)
Non si tratta di nessuna invenzione in particolare e credo che esista qualcosa di simile chiamato pasta alla papalina.
Di seguito la ricetta che mi ha rallegrato una serata:
Ingredienti per 1 persona.
-farfalle (quantitá a seconda della fame, io sono partito da 120 -130gr)
-misto funghetti surgelati
-prosciutto tritato
-dado vegetale
-pepe
-peperoncino
-misto verdure a cubetti surgelate (carote, piselli, fagiolini, mais) per dare un po' di colore.
-mezza confezione di panna da cucina
PROCEDIMENTO:
Portare ad ebollizione l'acqua con mezzo dado vegetale al posto del sale (la pasta inizierá a prendere sapore giá in fase di cottura)
In una padella scongelare e saltare una manciata di funghetti insiema alla seconda metá del dado e un filo d'olio. Quando i funghetti sono pronti aggiungere il prosciutto. Quando anche il prosciutto é dorato aggiungere una piccola manciata di verdurine, pepe e peperoncino e saltare il tutto.
Unire infine la panna (Ne ho usata metá di quella che c'é in un pacchetto normale) e scaldare il sughetto mescolando bene.
Togliere la padella dal fuoco quando la panna inizia a dare segni di ebollizione e lasciar riposare da parte continuando a mescolare e amalgamare.
Scolare la pasta, versarla nel sughetto e saltare qualche secondo in padella.
Il piatto é pronto!
(per ridurre l'intensitá di sapori che puó risultare eccessiva, ridurre la quantitá di dado in proporzione)
Non sono mai stato un amante della montagna e tantomeno delle scalate.
Quando, circa un mese fa, in azienda organizzavano l'escursione allo Snæfellsjökull, ho accettato di partecipare piú per curiositá che per passione.
Del resto se non provo e non vedo piú cose possibili che ci sto a fare qui?
Lo Snæfellsjökull é un vulcano non altissimo, solo 1448 m, che si trova all'estremitá occidentate della penisola dello Snæfellsness.
Piccola parentesi: a dispetto delle apparenze, i nomi sopracitati sono tutt'altro che difficili da imparare! Basti sapere che in Islandese, nella stragrande maggioranza dei casi, i luoghi geografici prendono il nome della descrizione naturale del luogo.
"Snæ" significa NEVE
"Fells" significa COLLINA o ALTURA
"Jökull" significa GHIACCIAO
"Ness" significa PENISOLA
Facilmente quindi, Snæfellsjökull significa "GHICCIAO SULLA COLLINA DI NEVE"
e "Snæfellsness" significa "PENISOLA DELLE COLLINE DI NEVE"
La stessa cittá di Reykjavik significa Baia Fumosa (per via dell'attivitá geotermica della zona)
Reykja = fumo
Vik= baia
Altro che Cervino, Adamello o Gran Paradiso, qui con i nomi non si sforzano! E gli esempi potrebbero continuare all'infinito...
Penisola SNÆFELLSNESS con il Ghiacciaio all'estremo occidentale.
Ad aggiungere poesia all'escursione ci ha pensato Jules Verne. Il vulcano che avremmo scalato era lo stesso da cui i protagonisti di "Viaggio al centro della terra" partirono per la loro avventura.
Avremmo seguito quindi le orme del Professor Lindebrock, arrampicandoci fino al cratere e, anziché calarci dentro, saremmo ancora saliti per qualche metro raggiungendo la vetta.
Non potevo immaginare niente di tutto quello che avrei visto e fatto quella notte.
Per iniziare, siamo partiti da Reykjavik alle 8 di sera. 10 persone, tutti dipendenti dell'azienda. Eythor era il capo spedizione, lui, grande scalatore e membro della squadra di soccorso di non so quale corpo.
E' stato proprio lui a prestarmi tutto il necessario tra abbigliamento e attrezzi, dal momento che io avevo solo degli scaproncini da montagna che per me rappresentavano giá tanto!
Quando dico "tutto il necessario" intendo proprio TUTTO: pantaloni e giubbotto impermeabili, guanti di lana, zaino da montagna, imbragatura con moschettoni, ramponi e piccone,
Alla vista di tutta quell'attrezzatura non sapevo cosa aspettarmi, chissá quale arrampicata e poi il piccone...come si usa?
Ho deciso di non pensare a niente e di seguire loro. Mi sono affidato completamente e mi sono solo preoccupato di godermi l'esperienza imitando quello che facevano, con un pizzico di incoscienza.
Il pullmino noleggiato da Throstur, diretto verso nord , é arrivato ai piedi della montagna due ore e mezza piú tardi percorrendo gli ultimi sette km su un sentiero stretto, sterrato e talmente estremo che neanche le giostre...
Salite discese e curve a gomito su una mulattiera. Il benvenuto del vulcano.
Abbiamo iniziato la scalata intorno alle 11 di sera, luce come se fosse pomeriggio.
Il mio abbigliamento grigio mi faceva somigliare ad un soldato delle truppe da assalto, mi sentivo eccessivo per quell'occasione. Poche ore piú tardi scoprivo che il mio equipaggiamento era tutt'altro che eccessivo.
Il primo tratto era poco piú che una passeggiata, con neve all'altezza delle caviglie, poca pendenza e tratto piacevole con una bellissima vista.
La prima tappa a mezzanotte e mezza. Raggiunto il dorso dell'altura lo sguardo si perdeva verso nord dove il sole grande e rosso sfilava sopra l'orizzonte.
Tutto intorno luce dorata, rossa e aracione. Il mare sotto di noi brillava e le poche nuvole all'orizzionte lasciavano esibire il sole in tutto il suo spettacolo tenendosi a debita distanza.
Verso est la dorsale della Snæfellsness si esteneva con le sue vette innevate come un possente muscolo sul braccio della penisola.
Dopo aver consumato due tramezzini e mezzo litro d'acqua, Eythor ha tirato fuori dallo zaino una corda e ha iniziato a sistemarci in due file. Ho indossato l'imbragatura e, con il moschettone, mi sono allacciato, mettendomi in terza posizione.
Prima di ripartire ha chiesto a tutti di prendere il piccone e imitare quello che faceva lui ovvero cadere, piantare il manico sulla neve e restare immobili.
Questa era la procedura da adottare nel caso fosse successo qualcosa ad un componente della linea. Se tutti gli altri avessero agito nel modo da lui indicato, tutta la linea sarebbe stata ancorata e il malcapitato si sarebbe salvato da morte certa!
L'effetto di quella spiegazione é stato lo stesso di quando le hostess sull'aereo spiegano le procedure d'emergenza con mascherina e salvagente: sai che non succederá, ma appena finiscono, un occhio al salvagente sotto al sedile lo butti.
Mi sono lasciato cadere piantando il manico sulla neve. Tutto ok, il movimento era giusto.
Al grido di: Dritti alla vetta! la fila si é messa in movimento, da quel momento l'avventura é diventata estrema.
La nebbia e le nuvole in pochi minuti hanno avvolto tutto, riuscivo a malapena a vedere il compagno davanti a me, la neve adesso arrivava al ginocchio rendendo la camminata sempre piú faticosa.
Non so quante ore ho camminato in quella nebbia.
Pensavo solo a mettere i piedi nelle impronte di chi mi precedeva, limitando la fatica. Era come salire una scala con gradini infiniti.
Tanti pensieri mi hanno attraversato la mente durante quelle ore. In quei momenti la mente si estranea e vola via lasciando il corpo a movimenti automatici: un passo e poi un altro e un altro ancora..chissá per quanto.
In mano sempre il piccone pronto all'emergenza e alla cintura il moschettone legato alla corda che qualche volta si tendeva se chi mi precedeva allungava il passo.
La mia mente volava in Italia in quel momento: i ragazzi finivano la scuola, la gente partiva per il mare, gli alberi si riempivano di ciliege mentre io, a migliaia di km a nord avevo la neve al ginocchio e davanti a me una salita di cui non vedevo la fine.
Anche se il sole era tramontato poco dopo la nostra ripartenza, la luce rimaneva. Che ore saranno?
Non potevo immaginare da quante ore stavamo camminando. La salita con il suo andamento ipnotico e la notte che non arrivava mai avevano annullato il fattore tempo.
Siamo arrivati in cima quando il sole stava per risorgere dopo una breve sosta dietro l'orizzonte.
Le nuvole intorno a noi scorrevano veloci intervallando schiarite in cui potevamo scorgere il picco vero e proprio. A pochi metri da noi, il bordo del cratere: Non sporgerti troppo, é ripido e molto profondo.
"Se vai li dentro esci a Stromboli!" scherza un collega. "Non é ancora ora!" dico io.
Lo spettacolo é incredibile, l'alba che ci sorprende sparge una luce surreale e la neve, le nuvole e la vetta sembrano davvero elementi di un luogo uscito dalla fantasia di un libro.
Sono le 3 e mezza, sta albeggiando e io mi trovo in cima ad un vulcano dove le leggende contemporanee individuano la base di alcuni alieni e luogo secondo gli esoterici di convergenza di linee di energia.
In quel momento, in cui la maggior parte delle persone si trova nel letto viaggiando tra i sogni, io sto sognando da sveglio.
L'ultimo sforzo é salire in cima al cucuzzolo coperto di neve. Ormai non sto pensando piú a niente, sto sognando e allora sono capace di tutto.
Aggancio i ramponi alle scarpe, seguo gli altri e inizio ad arrampicarmi su una parete con pendenza elevata per 60 metri di altezza.
Gli ultimi metri li percorro in un tratto sottile, stretto tra la parete e il precipizio.
Rivolgo lo sguardo verso il basso un paio di volte, giusto il tempo per chiudere gli occhi, iniziare a tremare e riprendere a salire.
Arrivato in cima l'adrenalina é talmente forte che inizio a tremare e ridere..ridere e tremare. Ho il sole davanti a me e la luna alla mia destra.
Non posso ancora crederci. Vedo chi é rimasto alla base del cucuzzolo, due puntini nella neve. Siamo in alto, nel punto piú alto di tutti.
Come nei disegni dei bambini, lo scalatore in piedi sulla punta della montagna, cosí sono io in quel momento.
Mi godo la vista mozzafiato continuando a ridere Come faró a scendere?!
Dopo qualche minuto vissuto in bilico su un precipizio, osservando dall'alto l'immenso cratere, Eythor pianta due picconi a fondo nel ghiaccio, lega le corde intorno e assicura ognuno di noi ad un nodo scorsoio legato da un capo alla corda principale e dall'altro al nostro moschettone.
Parto senza pensarci troppo. Vertigini!
Mi aggrappo con tutta la forza che ho alla corda principale e piantando il manico del mio piccone alla parete di ghiaccio scendo piano piano dalla vetta.
Arrivo tremando al secondo tratto meno ripido che riesco a scendere in piedi senza sedermi.
E´ora di tornare alla base, il gruppo si rimette in viaggio scendendo a velocitá piú sostenuta.
La neve mi riempie gli scarponi e costringo la fila a fermarsi tre volte per svuotarli e cambiare le calze.
Arriviamo al pullmino che il sole é giá alto. Manca poco alle 6 del mattino.
La soddisfazione é enorme per aver portato a termine la mia prima scalata! Qualcosa che non avrei mai immaginato esserne capace.
Realizzo che ho camminato sei ore. Sette ore da quando abbiamo lasciato il pullmino. Sette ore che sarebbero potute essere due dieci o quindici. Sette ore in cui il tempo si é fermato.
A farmi tornare alla realtá ci pensa Throstur che ha portato un barbecue da campeggio e tutto l'occorrente per preparare gli hamburger in grande stile: carne, panini, bacon, salse, pomodori, insalata...
Mi risveglio dal sogno con un succoso hamburger ed una birra fresca mentre guardo la vetta lontana e l'orologio segna le sei di mattina.
Alle 9 rientro nella mia casa di Reykjavik dove il letto mi accoglie per regalarmi sogni di sicuro meno vividi di quello da cui mi sono appena svegliato.
Io e gli altri stagisti siamo partiti per il viaggio alla scoperta degli angoli piú remoti dell´Islanda del nord alle 10 di sabato mattina.
Sei persone, 5 nazioni rappresentate: Italia, Romania, Polonia, Germania e Spagna.
Sei persone su un vecchio Isuzu Trooper, una jeep che beve gasolio come fosse acqua ma che diventa indispensabile per gli sterrati lungo il percorso.
Due giorni di discorsi, risate e battute e perfino barzellette, in inglese.
Turni di un'ora a testa alla guida. Dopo ogni ora le coppie cambiavano posto in modo che tutti potessero viaggiare davanti, in mezzo o dietro e sperimentare tutti e tre i gradi di comoditá.
Durante i turni di riposo, nel dormiveglia sul sedile posteriore, sono arrivato addirittura a sognare in inglese.
Poco fuori Reykjavik la prima sorpresa: il TUNNEL.
Il Tunnel é una galleria sottomarina che accorcia la strada di circa 60 km evitando un lungo e tortuoso percorso per il perimetro del fiordo Hvalfjordur.
L'effetto é molto strano: le pareti del tunnel sono rocciose e sembra una grotta. E' piuttosto stretto e se si pensa che i 6 km di strada vengono percorsi sotto il fondale marino la sensazione non é proprio delle migliori!
Il viaggio verso nord é molto diverso da quello nel sud dell'isola.
Il paesaggio é prevalentemente montuoso e le strade, piú curve, seguono il profilo dei fiordi. Il viaggio sembra non finire mai.
Rispetto al sud, le fattorie lungo la strada sono molto piú rare e si attraversano decine di km senza incontrare segni di vita.
Anche gli animali sono sempre piú rari e ad eccezione di qualche uccello pecora o cavallo, gli unici esseri viventi su quelle terre siamo noi.
Le montagne diventano sempre piú alte e sempre piú innevate, la strada si arrampica e poi scende ed offre una vista sulle montagne a picco sul mare da togliere il fiato.
Dopo un tempo lungo ed indefinito arriviamo ad Akureyri, la capitale del nord.
La cittá si trova in fondo ad un fiordo, quindi circondata da montagne molto alte, ospita 18 mila abitanti e molti pini.
La prima sensazione provata é di forte isolamento. Isolamento estremo.
Dista 390 km da Reykjavik. 390 km di montagne campagne e pecore ed é l'unico "grande" centro della zona.
I pochi abitanti vivono lontano da tutto e le imponenti montagne che fanno ombra sulla cittá amplificano l'effetto. Siamo ai confini della terra.
Attraversiamo la via principale del paese dove troviamo alcuni negozi e due grossi Troll sul marciapiede. Le foto insieme a loro sono inevitabili.
Lungo un' ombrosa strada del centro, una strada in salita, troviamo un' esibizione live di un gruppo rock locale.
Il pubblico é seduto a terra su poltrone antiche buttate a caso lungo la strada, cuscini e coperte.
Una distesa disordinata di scarpe spaiate completa questo quadretto surreale. Ci fermiamo ad ascoltare qualche minuto e, dopo una cena a base di zuppa, ripartiamo verso est in direzione del lago Myvatn.
Qualche tempo dopo arriviamo al lago. La zona é diventata vulcanica.
Troviamo una sistemazione in un bungalow e siccome non é ancora il momento per dormire (sono le 9 e il sole é alto) andiamo ad esplorare la zona circostante dalla quale si alzano tante colonne di vapore.
Saliamo in cima ad un cratere, attraversiamo una zona di rocce laviche che creano delle sculture naturali fino ad arrivare ad una grotta molto interessante.
Un cartello all'ingresso della grotta invita a non entrare dicendo testualmente: "ci sono stati alcuni crolli all'interno e di sicuro non sará l'ultima volta"
In un primo momento non ci osiamo ad entrare ma non resistiamo appena vediamo un lago sotterraneo, dentro la grotta, da cui si alza del vapore caldo.
Una piscina naturale a circa 47-48 gradi!
Ormai dobbiamo provare e affidandoci alla buona sorte, indossiamo il costume. scendiamo nella grotta e ci concediamo un bagno in quell'acqua vulcanica.
Il giorno dopo siamo nel deserto:
ad est del lago si estende un deserto rosso e una pianura sulfurea con pozze di fango grigio come catrame che ribolle.
Un'altro grande cratere con un lago all'interno e poi rotta verso le magnifiche cascate di Dettifoss e Selfoss.
Non c'e niente da fare, sembra di essere sbarcati nel giurassico. Sembra di vedere dinosauri e creature preistoriche in questo paesaggio roccioso, tra le pietre squadrare, fratture nella roccia e profondi precipizi.
Chissá in quale pianeta siamo sbarcati..
Nonostante sia un luogo fantastico ed incredibile, é talmente lontano dalle classiche rotte turistiche, che gli unici a godere di questo spettacolo siamo solo noi e pochi altri.
L'ultima tappa prima di tornare verso sud é l'impronunciabile la penisola di Tjorneshreppur dove, secondo la nostra mappa, dovremmo avvistare i famosi uccellini islandesi: le pulcinelle di mare, in inglese "Puffin"
30 o 40 km su un sentiero sabbioso tra piccoli arbusti che fanno tanto savana. In questo viaggio verso nord, poche volte ho avuto la sensazione di essere in Islanda, la terra del ghiaccio.
Arrivati a destinazione, di puffin neanche l'ombra.
"Carlos, vai a chiedere a quei signori laggiú se sanno dove possiamo vedere i Puffin.."
Carlos, armato di cartina, si avvicina ai due turisti chiedendo: "Scusate, sapete mica dove possiamo vedere i Muffin?"
Noi da lontano non tratteniamo le risate, mentre quei due lo guardano perplessi e aspettano qualche secondo prima di rispondere, trattendendosi dal dirgli: "prova a cercare in un bar!"..
"Magari puffin volevi dire?"
"Si si, Muffin - Puffin...la stessa cosa, quelli!"
"Ah no, i Puffin non sono qui. Li potete trovare nei fiordi dell'ovest o nelle isole Vestmann.. mi dispiace..."
Dev'essere una leggenda la presenza dei Puffin perché ovunque io sia stato, le persone sul posto mi dicevano che sarei dovuto andare altrove per poterli vedere!
Senza puffin, ci rimettiamo in macchina ed arriviamo ad Husavik, una villaggio di pescatori, capitale nazionale dell'avvistamento delle balene.
Isolamento estremo anche qui. Tante barche e pescherecci e alcune locande che serveno pesce.
Mangiamo qualcosa e ci rimettiamo in viaggio verso casa, dove arriviamo 7 ore piú tardi, stanchi e provati ma finalmente di nuovo in mezzo alla civiltá.